MUSICA

Giovanni Allevi, la potenza della fragilità (L’impero dei segni)

Il festival di Sanremo ogni anno genera polemiche e dibattiti, invade siti, giornali e talk show e i numeri (dell’Auditel e degli introiti pubblicitari) danno implacabilmente ragione ai suoi sostenitori appassionati.

Anche nel 2024 è stato record: la media della serata finale è stata di oltre il 74% di spettatori collegati su Raiuno, più di 60 i milioni raccolti con la pubblicità e due miliardi le impressions su TikTok.

Ma ogni anno i detrattori, quelli che lo ritengono uno spettacolo trash, musicalmente irrilevante, inutilmente elefantiaco sono altrettanto forti e convinti.

Una cosa però non si può negare: ogni volta dal palco dell’Ariston, anche quando le canzoni non risultino indimenticabili, emerge sempre almeno un’immagine forte, potente, persistente che diventa ricordo e finisce per identificare quell’edizione.

Questa volta sono stati senza dubbio l’apparizione e il discorso di Giovanni Allevi, il pianista marchigiano che da due anni era lontano dalle scene perché colpito da una grave malattia, un mieloma multiplo (tumore del midollo osseo che colpisce le cellule plasmatiche), e che, con il tono infantile e gioioso a cui ci ha abituati, ha parlato con serenità di ciò che ha perso (tanto) ma anche di quello che ha conservato e forse accresciuto.

Che cosa ci dice il discorso di Giovanni Allevi? Abbiamo provato a capirlo con l’aiuto dell’esperto di comunicazione Alberto De Martini nel podcast dell’ANSA della serie L’impero dei segni.

ANSA

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