COMUNICATI STAMPA

Recupero liste d’attesa: TAC e Risonanze con mezzo di contrasto non si possono fare

Il tempo della cura e il tempo perduto. La Regione Basilicata tenta di curare con la DGR 513/2025 la malattia creata dalla DGR 473/2025.

C’è qualcosa di profondamente stonato nella gestione sanitaria lucana degli ultimi mesi.
Da un lato, la Regione Basilicata riconosce l’emergenza delle liste d’attesa e vara la DGR 513/2025 per finanziare prestazioni “straordinarie”. Dall’altro, pochi mesi prima, con la DGR 473/2025, aveva già tagliato risorse proprio dove servivano, producendo quelle attese interminabili che ora dice di voler combattere.
È come se si volesse curare una ferita con la stessa lama che l’ha inferta: quella della burocrazia.

Le liste d’attesa non nascono dal nulla. Sono la conseguenza di una programmazione malata, di scelte che hanno distribuito i fondi non dove servono, ma dove “si è sempre speso”.
La DGR 473 ha di fatto tradito la logica dei fabbisogni, condannando la Basilicata alla spesa storica del 2014 — una decisione che ha tagliato fuori i territori più produttivi, più innovativi e più vicini ai cittadini, colpendo in particolare quelle strutture che avrebbero potuto assorbire domanda e ridurre i tempi di attesa.

Se le risorse fossero state allocate sui fabbisogni reali e non sui ricordi contabili, oggi la Basilicata avrebbe meno attese e più cure. Ma la Regione ha scelto di finanziare la storia invece di finanziare la salute.

Quando le conseguenze della 473 sono esplose, è arrivata la soluzione — purtroppo, una toppa mal cucita. Così è nata la DGR 513/2025, presentata come il rimedio per abbattere le liste d’attesa. Ma a guardarla da vicino, la toppa non copre lo strappo: lo evidenzia.

Innanzitutto, i fondi non sono nuovi: si tratta di residui non spesi per le liste d’attesa dell’anno scorso, che ora si tenta di utilizzare in fretta e furia per evitare sanzioni ministeriali. Non è una strategia: è una corsa contro il tempo.
Non un piano di governo, ma un piano di sopravvivenza amministrativa.
Il rischio paradossale è che non si riescano nemmeno a individuare i pazienti cui erogare le prestazioni: se così fosse, si rischia di assistere a una nuova stagione di caos, con pazienti abbandonati e strutture ingiustamente penalizzate.

E come se non bastasse, l’elenco delle prestazioni finanziabili rivela un’assenza che grida all’incredibile: TAC e Risonanze magnetiche con mezzo di contrasto.
Prestazioni salvavita, fondamentali nei percorsi oncologici, cardiologici e neurologici, indispensabili per diagnosi tempestive e per il monitoraggio terapeutico. In molti casi, la differenza tra una TAC con contrasto e una senza è la differenza tra diagnosticare una malattia o lasciarla avanzare.

Qualcuno ha provato a giustificare questa esclusione richiamando Agenas, sostenendo che l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali non ha inserito tali prestazioni tra quelle monitorate nella piattaforma nazionale. È vero — ma è un argomento che potrebbe non reggere. Il compito della Regione è sì di rispettare la lista di prestazioni che Agenas ha individuato per il monitoraggio, ma anche e soprattutto quello di rispettare il PNGLA 2019–2021 attualmente ancora vigente (Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa), che governa la sanità pubblica e chiede di garantire i livelli essenziali di assistenza.

Soprattutto perché è la stessa DGR 513, che nel suo testo, cita proprio il PNGLA 2019–2021 come riferimento normativo. Ebbene, quel Piano include chiaramente TAC e Risonanze con mezzo di contrasto tra le prestazioni critiche da monitorare e garantire.
Se la Regione lo richiama formalmente ma poi lo disattende, non è una svista: è un travisamento.
Una scelta che contraddice se stessa e che tradisce lo spirito di assistenza che vorrebbe assicurare ai suoi cittadini.

Basterebbe parlare con un qualsiasi medico — e ancor più con un radiologo — per capire quanto sia pericoloso per i pazienti omettere queste prestazioni. Ogni giorno, nei reparti e nei centri diagnostici, TAC e Risonanze con contrasto permettono di salvare vite, di scoprire tumori, aneurismi, ischemie, recidive, calibrare terapie salva vita. Negare o ritardare questi esami significa negare la possibilità stessa di guarire. Significa trasformare la lista d’attesa in un conto alla rovescia.

È proprio vero: le liste d’attesa non si risolvono con delibere frettolose. Si riducono solo se si programmano le risorse sui fabbisogni reali, se si valorizzano le strutture che funzionano, e se si ascoltano i pazienti e gli operatori invece di ignorarli. Il tempo della cura non può essere sostituito dal tempo dell’attesa.
E la Basilicata, ancora una volta, sembra aver confuso la medicina con la burocrazia.

Pulsante per tornare all'inizio