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“Anno Omega (quando tutto ebbe inizio)” di Maria Letizia Avato in scena al Teatro di Documenti dal 23 al 26 ottobre

Ci aggiriamo in sospensione su quel che resta della nostra Terra, senza più il timore di cadere o di soffrire. Anche le parole sono cambiate oramai, vetuste idee di bene e di male, di gioia e dolore, hanno lasciato il posto alla levità del volo nel quale sappiamo di esistere, nonostante tutto, prive dei nostri corpi…

In scena al Teatro di Documenti dal 23 al 26 ottobre “Anno Omega (quando tutto ebbe inizio)” di Maria Letizia Avato, regia di Marco Belocchi.

Due atti unici che ruotano attorno a un cardine, disegnando una spirale infinita che racconta la ciclicità dell’Universo.

Lo spazio del Teatro di Documenti, pensato e realizzato dallo scenografo Luciano Damiani, diventa cornice ideale dell’opera, favorendo un livello onirico difficilmente attuabile in un teatro tradizionale.

Nel primo atto “Tutti pensarono, tutti credettero” si assiste al bizzarro e surreale dialogo fra Ambrosius (il Creatore) e Felice (il folle), sagacemente contrappuntato dalla voce narrante.

Dio dipinge la sua ennesima creazione e Felice, il mentecatto, da un lato e senza fiatare lo osserva, sino a quando, per una fortuita circostanza, i due cominciano a dialogare. Hanno punti di vista decisamente contrastanti e l’Eterno si rivela ben presto, molto meno Onnisciente del suo folle interlocutore.

Dio ritiene di essere artefice di una creazione perfetta, Felice lo mette dinanzi alla realtà facendo notare al suo ideatore, e anche a tutti noi, la natura bacata delle reiterate creazioni in quanto indissolubilmente legate al Male di cui sono intrise, perché Ambrosius stesso ne è composto.

Lo svelamento farà cadere il terribile incantesimo? Dio saprà guardare se stesso nello specchio di Felice? L’umanità sarà al fine libera dal Male?

In scena Marco Belocchi, Paolo Ricchi e Maurizio Castè.

“La prima pièce si ambienta in uno spazio astratto, fuori del tempo, in cui Dio, che prende il nome di Ambrosius, crea su una tela il mondo e Felice, il folle, una specie di alter ego, o addirittura la sua coscienza, lo ammonisce di creare oltre il Bene anche il Male. Un confronto filosofico, ironico, surreale, dove questo Dio sciatto e un po’ borioso, in una sorta di coazione a ripetere, non fa altro che  ri-creare mondi imperfetti, seminando dolore e infelicità.

Qualche poltrona, un cavalletto, sono gli elementi scenografici. Mentre un narratore, che sembra un imbonitore da circo, ci conduce attraverso la vicenda e lega il primo atto col secondo, dove un’anima vagante nell’iperuranio si rincarna, attratta dalla forza incoercibile dell’amore”Marco Belocchi.

Nel secondo atto “Anima sola” si assiste al ricongiungimento delle anime ai corpi. Là dove le anime, ormai totalmente sublimate e libere della sofferenza inevitabile della vita incarnata, si avviavano alla totale fusione con Dio, vengono fatalmente rapite dalla musica e dai versi di una poesia di Nazım Hikmet, ti amo come, che le risveglia dal loro destino segnato richiamandole alla vita umana.

Fascinate dal tormento, dall’amore, dai sensi, dal dolore e dalla passione compiono un atto sacrilego, barattando la Luce divina con la Poesia, l’Eterno con l’Effimero.

In scena Grazia Rita Visconti.

I due atti unici sono legati fra loro e all’immaginario del pubblico in ascolto dalle musiche originali del M° Fabio Bianchini.

“Le atmosfere sonore della musica, composta dal M° Fabio Bianchini, con cui collaboro da decenni, ci consentirà di avvolgere davvero lo spettatore in un clima irreale, al di là dei sensi”Marco Belocchi.

Un’immersione totale nell’inconscio, negli strati profondi, dove la vita si forma e le grandi forze primordiali, il Bene, il Male, l’Amore, si contendono il dominio sulla Materia.

“La sfida di questo spettacolo, dal punto di vista della regia, è far vivere questi testi, di matrice lirica e narrativa, ma molto suggestivi, utilizzando non solo le capacità interpretative degli attori, ma anche le risorse tecniche, frantumando talvolta il flusso del racconto tra voci, suoni e immagini e lasciando allo spettatore il compito di ricomporre, nella sua percezione, le suggestioni che la parola poetica comunque trasmette. Forse una sfida impossibile, ma estremamente affascinante”Marco Belocchi.

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