Camporosso si ferma per celebrare il patrono Sant’Egidio

Che la si chiami Camporosso, Zabnice (sloveno), Saifnitz (tedesco) o Cjamparòs (derivazione del friulano), la festa del patrono, Sant’Egidio è un momento dell’anno in cui la piccola comunità di Camporosso (Tarvisio, Udine) con i suoi 800 abitanti interrompe ogni altra attività e si concentra soltanto sulla festa (e relativa sagra).
Un evento che attira persone da varie località della Val Canale e ovviamente anche da oltre il (vicino) confine con l’Austria.
Tutto si ferma per la sfilata in costumi tradizionali di ragazzi, anziani, donne, uomini, con i maschi che abbottonano soltanto i primi undici bottoni del gilè: il dodicesimo lo si lascia libero. “I bottoni rappresentavano le terre dell’Austria, quello più in basso l’Alta Carinzia che Vienna perse con la prima Guerra mondiale”, spiega Maurizio Lattisi, presidente del Consorzio Agrario Vicinia di Camporosso.
Da oltre cento anni il corteo attraversa il centro del paese, sostando per rifocillarsi con vino bianco e cibo, raggiunge la chiesa del XV secolo dove viene celebrata una messa e, prima di riprendere la sfilata, si ferma sotto il grande tiglio dove gli uomini intonano il tradizionale canto, nelle quattro lingue del luogo, crocevia di culture (italiano, sloveno, tedesco e friulano).
Non è un albero qualunque, è “l’albero della vita”, spiegano i residenti, considerato sacro dalla tradizione slovena. È anche il momento della Konta, l’evento culminante della festa slovena dello Zegen in cui i giovani del villaggio raggiunta la maggiore età celebrano il loro ingresso ufficiale nella comunità. I giovani seguono la festa fin da bambini per prepararsi all’importante giorno.
Infine, si riprende a sfilare per il paese per sciogliere il corteo (continuando a cantare) alla sagra dove scorrono ettolitri di birra e piatti di Wienerschnitzel, frico, patatine fritte e Kartoffelnsalat.
Tra le ragazze Emily Menguzzato indossa un pesante vestito che è forse il più antico dell’intera Camporosso: ereditato da una bis bis bisnonna, fu cucito intorno al 1790 e da allora è gelosamente custodito in casa.
ANSA