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Vittorio Sgarbi torna con un libro sulla montagna nell’arte

Con Il cielo più vicino. La montagna nell’arte (La nave di Teseo, 304 pagine, €20), in uscita l’11 novembre, Vittorio Sgarbi torna in libreria con un saggio denso di suggestioni e riflessioni.

Un’opera nata in un momento complesso della sua vita personale, segnata dalla lotta contro la depressione, eppure attraversata da una forza contemplativa profonda.

In queste pagine, il critico d’arte accompagna il lettore in un itinerario inedito: un’esplorazione visiva e interiore della montagna così come è stata rappresentata nell’arte occidentale, dalle origini medievali fino alla contemporaneità. Non si tratta di un semplice catalogo, ma di un percorso che intreccia estetica, spiritualità e paesaggio.

«Davanti alla montagna non guardiamo solo con gli occhi. È un’esperienza dell’anima», scrive Sgarbi, introducendo così un cammino che parte da Giotto – “il più umano tra i pittori”, primo a rappresentare le alture con una nuova sensibilità – e che si snoda attraverso secoli di arte e visione.

Seguendo l’eco romantica di autori come Chateaubriand, Sgarbi fa emergere la presenza della montagna nelle opere dei grandi maestri: dalle vette dolomitiche accennate da Mantegna ai panorami eterei di Masolino, dagli sfondi ruvidi e rocciosi di Leonardo da Vinci agli acquerelli delicati e vagabondi di Dürer, in viaggio da Venezia verso i monti tedeschi.

Il volume celebra anche figure meno note, ma non meno significative: pittori cresciuti ai margini delle grandi scuole accademiche, come Ubaldo Oppi, Tullio Garbari, Afro Basaldella, capaci di cogliere la sacralità del paesaggio alpino con linguaggi autonomi e personali.

Tra i giganti della pittura, spazio anche a Bellini, Giorgione, Tiziano, Turner, Friedrich, Van Gogh, Segantini e Courbet, fino ai visionari come Munch e Böcklin. E ancora: Italo Mus, Zoran Mušič, Dino Buzzati. Ogni artista contribuisce a un mosaico complesso che racconta il rapporto fra uomo e montagna, natura e trascendenza.

Non manca uno sguardo sulla modernità, con la nascita del turismo montano, la diffusione della fotografia e della grafica, che hanno reinterpretato l’immaginario dell’alta quota con nuovi linguaggi visivi.

«La montagna è la metafora dell’infinito e, allo stesso tempo, del limite umano. È il luogo dove la fragilità dell’uomo incontra l’idea dell’eterno», afferma Sgarbi. «Il racconto artistico della montagna comincia con Giotto e attraversa epoche, scuole e sensibilità diverse, ma resta unito da un filo unico, da un pensiero costante: quello dell’assoluto».

Con Il cielo più vicino, Sgarbi consegna al lettore un’opera che è tanto riflessione critica quanto atto d’amore verso una delle presenze più imponenti e simboliche dell’esperienza umana: la montagna, osservata attraverso gli occhi di secoli di artisti.

ANSA

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