CRONACA

Attentato alla Sinagoga: Dureghello, cada il velo di omertà e ipocrisia

La presidente della Comunità ebraica romana: 'Dolore ancora vivo, ci sia verità storica e processuale'

In occasione del quarantesimo anniversario dell’attentato al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto dal presidente della Regione Nicola Zingaretti e dal sindaco Roberto Gualtieri, dal Rabbino capo Riccardo Di Segni e dalla presidente della Comunità romana Ruth Dureghello, si è svolta la cerimonia religiosa di donazione del Sefer Torà (rotolo della Torah) dedicato alla memoria di Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni ucciso dai terroristi palestinesi nell’attacco alla sinagoga.

La funzione di introduzione di un nuovo rotolo della Torà, in virtù della sacralità dell’oggetto, rappresenta un’occasione di festa per la Comunità Ebraica.

Proprio come segno opposto alla morte, alla guerra e al terrore del 9 ottobre, si svolge così una “cerimonia gioiosa” che in questo anniversario vuole rappresentare una dichiarazione di vita, pace e speranza nel futuro. Dopo averne completato questa mattina la scrittura, il rotolo della Torà è stato quindi portato dalla Comunità e dalla scuola ebraica nella Sinagoga, intonando l’inno dello Stato di Israele, l’Hatikva.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato accolto dalla Comunità ebraica con un lungo applauso all’interno della Sinagoga. Sul suo profilo Facebook anche la Polizia di Stato ha commemorato i 40 anni dell’attentato.

“Da questo luogo chiediamo verità, perché è necessario che quel velo d’ipocrisia e omertà che rese possibile che un comando terroristico agisse indisturbato nel pieno centro di Roma venga finalmente svelato. Lo ha detto la presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello.

“Da quel giorno di quaranta anni fa sono tante le cose successe. Se però siamo ancora qui è perché oltre al dolore che è ancora vivo, auspichiamo che finalmente possa esserci verità storica e processuale. Non per vendetta, ma per giustizia”, ha Dureghello.

La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha parlato di quel giorno “atroce e indelebile per l’Italia intera” e del “nostro impegno a non dimenticare ma anche a cercare la verità”. “Ci stringiamo al dolore mai sopito dei familiari e dell’intera comunità ebraica”, ha dichiarato il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida.

“Una parte di noi fu colpita e trovo anche condivisibile la richiesta di verità e giustizia”, ha detto il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. “Gi assassini del piccolo Stefano Gaj Taché restano ancora impuniti. Stefano era prima di tutto un bambino italiano”, scrive Maria Elena Boschi, presidente dei deputati di Italia Viva.

Ferito nell’attentato: “C’è ancora molto da chiarire”

“Ci sono una serie di situazioni che andrebbero chiarite sul quel giorno”. Così Sandro di Castro, uno dei feriti nell’attacco alla sinagoga del 9 ottobre 1982, uscendo dalla cerimonia di donazione del Sefer Torà (rotolo della Torah), al Tempio Maggior di Roma, dedicata alla memoria di Stefano Gaj Taché, parla dell’attentato di quarant’anni fa. Venuto oggi al Tempio con la giacca che aveva quel giorno, dove ancora si vedono i fori delle schegge dei proiettili, Di Castro racconta l’attentato in cui rimase ferito: “Avevo 22 anni.

Ricordo tutto di quel giorno perché non ho mai perso conoscenza. Prima sembrava che qualcuno stesse tirando dei sassi, poi c’è stata l’esplosione e mentre ancora sparavano c’era un fotografo che riprendeva tutto. Questa è la cosa che mi ha impressionato più di tutti – sottolinea – . Subito dopo la fine dell’azione un silenzio doloroso e i lamenti delle persone che sono rimaste ferite. Poi sono arrivati i soccorsi”.

“Quel fotografo disse che si trovava al ministero della Giustizia ma non è possibile perché l’azione sarà durata un minuto in tutto e non avrebbe avuto il tempo di arrivare qui.

Quindi questo resta uno dei misteri, di quelle storie che andrebbero chiarite”, aggiunge il superstite. “Quella mattina stranamente, per noi che eravamo abituati a vivere con la polizia, non c’era niente di niente, nemmeno un vigile urbano. Anche questa è una cosa abbastanza inquietante”, ribadisce.

ANSA

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