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Classico, moderno, contemporaneo. Treviso celebra Canova

Al Museo Bailo il fascino dello scultore che conquistò il mondo

Un genio moderno, contemporaneo, che guardava all’antico per reinventarlo. L’ultimo grande artista del Settecento e il primo dell’Ottocento.

Un veneto che si fece da solo, l’imprenditore di se stesso partito da un paesino di campagna alla conquista del mondo. Così Treviso vuole celebrare Antonio Canova.

A raccontare il maestro irraggiungibile di capolavori immortali della scultura è il Museo Bailo con la mostra ‘Canova, gloria trevigiana.

Dalla bellezza classica all’annuncio romantico’ che fino al 25 settembre affianca oltre 150 opere, tra gessi, marmi, incisioni e pitture per comporre il mosaico di un personaggio poliedrico, attentissimo anche alla cura della propria immagine.

“All’epoca fu una novità assoluta, una vera operazione di marketing per farsi conoscere. Oggi sarebbe considerato il re del selfie”, dice scherzando Fabrizio Malachin, direttore del museo e ideatore del tributo allo scultore di Possagno, riferendosi allo spazio che l’artista volle riservare ai suoi ritratti.

“Nel secondo dopoguerra – fa notare – di lui si parlava molto male. Il neoclassicismo era visto come il punto di partenza dell’arte che durante il fascismo aveva avuto il suo splendore. Un critico di prestigio come Roberto Longhi lo definì ‘uno scultore nato morto'”.

L’ omaggio che Treviso gli rende rimanda alla prima monografica assoluta organizzata nel 1957 dal direttore del museo della città Luigi Coletti che segnò appunto l’inizio della rivalutazione e della riscoperta di Canova, mostrando come seppe allontanarsi dal classicismo “ispirandosi ai modelli dell’antichità senza copiare, reinterpretandoli in un confronto costante tra antico e moderno, e diventando nell’Ottocento un annunciatore del Romanticismo”.

Del resto, il mito del bambino prodigio che accompagnò Canova e che lui stesso smentì, nacque nel 1803 proprio nel capoluogo della Marca con la leggenda che lo racconta bambino autore di un leone modellato nel burro per un dolce rimasto senza decorazione destinato a un banchetto nobiliare.

“Canova era assolutamente moderno – spiega Malachin – non si limitava a seguire le mode e le regole del momento che si rifacevano a Winckelmann. Partì dalla campagna veneta e conquistò Venezia, poi Roma, le grandi corti europee e addirittura l’America con il ritratto di Washington.

Capì che per affermarsi doveva allontanarsi dagli schemi precedenti”. Per alimentare il culto della propria immagine si dotò di una propria calcografia, creando una vera e propria industria del genere.

Con l’abilità diplomatica di confrontarsi con nobili e re anche grazie alla conoscenza dell’inglese e del francese riuscì a far tornare in Italia capolavori come il Laocoonte e i Cavalli di San Marco portati in Francia da Napoleone.

La mostra, allestita nell’ala fresca di restauro del Museo Bailo, che inaugura con l’occasione la galleria dell’Ottocento, si apre con un colpo d’occhio straordinario, le quattro enormi statue su basamenti originali, provenienti da un palazzo nobiliare padovano, in cui Canova si misura con l’antico e dimostra la sua originalità: l’Apollo del Belvedere a confronto con il Perseo trionfante e il Gladiatore Borghese con il suo Creugante.

Vera chicca è il gesso preparatorio del cavallo morente, esposto per la prima volta, al quale si rifece per il famoso gruppo di Teseo in lotta con il centauro, oggi a Vienna.

Di forte suggestione la sala con la Venere che dialoga con la dea dal carnale lato b dipinta da Francesco Hayez nel 1830 e la più pudica e tradizionale Diana cacciatrice, nella tela dello stesso anno di Pelagio Pelagi.

In una teca, anche questa una primizia, ecco la maschera funeraria e il calco della mano destra dell’artista. Alle meraviglie delle incisioni e dei lavori più conosciuti, si alternano i due bassorilievi del patrimonio del Gruppo Generali appena restaurati – “vera pittura scolpita” -, l’enorme volume con 86 incisioni canoviane donate dal fratello Giambattista Sartori a Treviso nel 1837, il prezioso bozzetto delle Tre Grazie, le foto dall’effetto tridimensionale dei ‘must’ canoviani riletti da Fabio Zonta, il primo cartone multimediale per i bambini mai realizzato in un museo.

“L’opera che più lo rappresenta – commenta Malachin – è il calco originale di Amore e Psiche, che uscì dalla bottega di Canova e che il fratello dopo la sua morte riportò a Possagno.

E’ l’immagine dell’amore platonico che venne usata per la mostra di 65 anni fa che abbiamo ripreso anche noi come una ideale chiusura del cerchio”.

ANSA

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