CRONACA

Pasqua, dopo 2 anni torna al Colosseo la Via Crucis

Le meditazioni affidate alla voce delle famiglie, russi e ucraini insieme con Irina e Albina. Molte polemiche ma il papa non torna indietro

Il tradizionale rito della Via Crucis presieduto da papa Francesco, dopo le edizioni senza la folla dei fedeli a causa della pandemia, torna in questo Venerdì Santo nella storica collocazione del Colosseo. E per le meditazioni il Pontefice ha deciso di dare voce alle famiglie.

In occasione dell’anno dedicato alla famiglia, con cui la Chiesa celebra i cinque anni dall’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, Francesco ha affidato infatti la preparazione dei testi delle meditazioni e delle preghiere ad alcune famiglie legate a comunità ed associazioni cattoliche di volontariato ed assistenza.

In base alle tematiche scelte, saranno sempre alcune famiglie a portare la croce tra una stazione e l’altra. Non resterà certo fuori il tema della guerra, dal momento che nella penultima stazione, la 13ma, in cui “Gesù muore sulla croce”, quest’ultima sarà portata insieme da una famiglia ucraina e una russa – “Signore dove sei?”, il loro grido -, mentre l’ultima stazione, “Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro”, sarà affidata a una famiglia di migranti: “Ormai siamo qui. Siamo morti al nostro passato. Avremmo voluto vivere nella nostra terra, ma la guerra ce lo ha impedito”.

“La nostra sembra essere una lunga luna di miele, nonostante i litigi quotidiani – dice invece una coppia di giovani sposi, la prima a portare la croce -. Eppure spesso abbiamo paura.

Quando pensiamo alle coppie di amici più grandi che non ce l’hanno fatta. Quando leggiamo sui giornali che aumentano le separazioni.

Quando ci dicono che sicuramente ci lasceremo perché così va il mondo”. Una famiglia in missione esprime anch’essa “il terrore della guerra così drammaticamente attuale in questi mesi”. Una coppia di anziani ricorda con rammarico l’esperienza di non aver avuto figli. Una con cinque figli parla di sogni “plasmati dagli eventi” e di una realizzazione professionale “modificata dai fatti della vita che irrompe”.

Una famiglia con figlio disabile lamenta: “Quante volte il giudizio del mondo è affrettato e superficiale e ci addolora anche solo con uno sguardo.

Ci portiamo addosso la vergogna di una diversità più spesso compatita che abitata”. Una con una casa di accoglienza spiega che “sulla via dolorosa della vita di tanti flagellati e crocifissi, accanto a loro, sotto il peso della loro croce, abbiamo scoperto che il vero re è colui che si dona e si dà in pasto, anima e corpo”.

C’è la dolorosa esperienza della malattia: “Il Signore ci parla attraverso accadimenti che non sempre comprendiamo e ci conduce per mano verso lo sviluppo della parte migliore di noi”.

C’è la saggezza di una coppia di nonni dinanzi alla “croce della precarietà delle famiglie e del lavoro”.

C’è la famiglia che ha adottato un figlio: “non c’è un giorno in cui non ci svegliamo pensando che ne è valsa la pena”. E la madre che ha perso il marito: “La menzogna più grande con cui abbiamo combattuto era quella di non essere più famiglia”.

Quindi la famiglia con un figlio consacrato: “All’inizio non l’abbiamo presa bene. Lo abbiamo contrastato. Lo abbiamo abbandonato”, e “solo adesso sorridiamo ricordandoci tutte le aspettative che avevamo messo su nostro figlio”.

Quella che si confronta con la perdita di un figlio: “Sotto la croce ogni famiglia, anche la più sbilenca, la più dolente, la più strana, la più monca, trova il suo senso profondo. Anche la nostra”.

ANSA

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