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La scuola degli esiti, immaginando il futuro

Fulvio Oscar Benussi, socio Aidr

Il futuro non è più quello di una volta.

Questa affermazione di Paul Valéry (1) ci porta alla domanda  conseguente: la scuola può disinteressarsi del futuro che ci attende e  continuare ad essere quella di una volta?

Credo ci sia un accordo unanime sulla necessità di integrare nei  curricoli scolastici contenuti e metodologie che tengano conto delle  modifiche socioeconomiche della nostra società anche se la resistenza  al cambiamento è ancora presente tra gli insegnanti.

Le recenti evoluzioni stanno inoltre ampliando il ritardo della scuola.

L’incedere verso il futuro ha subito infatti un’accelerazione dovuta  alla pandemia.

I cambiamenti nei modi di svolgere la propria attività  lavorativa e nel rapportarsi con la pubblica amministrazione, che  erano in lento divenire, nel giro di pochissimo tempo, sono diventati  la nuova realtà.

Nel passato la scuola doveva svolgere il proprio ruolo educando i  ragazzi alla cittadinanza oltre a prepararli al lavoro che da adulti  sarebbero andati a svolgere in un contesto noto e previsto. La mission  della scuola di allora era preparare gli studenti a una realtà  lavorativa statica in un contesto sociale quasi immutabile.

Più di recente è via, via diventato necessario confrontarsi con un  mercato del lavoro che creava nuovi lavori a un ritmo di sostituzione  di circa il 50% di quelli esistenti nel periodo tra l’inizio del  percorso scolastico e il tempo in cui i ragazzi si diplomavano (13  anni dalla primaria alla fine della secondaria di secondo grado).

La  frizione con la scuola del “Programma ministeriale” si è perciò  palesata rendendo urgente un ripensamento del modo di fare scuola.  Un’evidenza di ciò traspare dal passaggio dai Programmi alle Linee  guida ministeriali che riducevano la prescrittività dei curricoli  definiti centralmente dal Ministero.

E siamo all’oggi.

Il lavoro con la pandemia, soprattutto quello svolto nelle aziende  private, è stato riorganizzato (2).

I tempi di lavoro sono passati da un orario rigido dalle 9 alle 17 a  un tempo di lavoro che spesso è liberamente determinato dal  lavoratore. Il lavoro può svolgersi ovunque superando il vincolo del  suo svolgimento operando esclusivamente dal proprio ufficio.

Gli  strumenti di lavoro oggi abbracciano una moltitudine di device mentre  le attività lavorative fondati in passato su incarichi impartiti a  voce o recapitati via mail oggi sono basati su tecnologie di  collaborazione (3). La competenza prima fondata su conoscenze  consolidate è oggi focalizzata sull’apprendimento adattivo.

La  promozione della propria immagine prevede la cura del proprio personal  brand (4) e la ricerca del lavoro non è più promossa esclusivamente  con il curriculum vitae, ma avviene online ad esempio tramite Linkedin.

Il sapere e le competenze di cittadinanza necessarie al giovane adulto  per l’esercizio dei suoi diritti si sono anch’esse evolute.

Oggi sono relative a competenze che possiamo definire di  e-cittadinanza. Nella vita quotidiana è diventato necessario conoscere  e sapere utilizzare la posta elettronica certificata considerata  domicilio digitale del cittadino. Indispensabile lo SPID che permette  l’identificazione certa del cittadino utente ed è abilitante  all’interazione con la PA.

Va considerata inoltre la firma digitale  che certifica l’identità del chi la appone e consente perciò di  perfezionare contratti, di interagire da remoto con la PA  aziende e  altri soggetti.

I futuri cittadini devono imparare anche a tutelare  con gli opportuni accorgimenti la propria privacy, sapere smascherare  le fake news, evitare gli hate speech e riconoscere e denunciare il  cyberbullismo (5).

E’ accaduto ai lavoratori di altri settori perciò anche per gli  insegnanti va considerata l’opportunità che l’attività didattica vada  svolta con precisi obiettivi di risultato.

Progettazione, attuazione,valutazione, documentazione ed eventuale riprogettazione delle  proposte didattiche diventeranno attività sempre più consuete se la  scuola, come è auspicabile, accetterà ed affronterà la sfida del  cambiamento.

Le tecnologie di collaborazione diventeranno allora  fondamentali anche nel mondo della scuola come supporto  all’organizzazione di “comunità di pratiche” che andranno a favorire  la condivisione e l’affinamento di prassi didattiche in evoluzione.

L’innovazione potrà essere stimolata dal Ministero con l’assegnazione  di risorse per l’acquisto di apparecchiature digitali e per la  relativa formazione del personale.

Tali assegnazioni dovranno però  essere monitorate introducendo, come è avvenuto per la sanità, il  concetto di “scuola degli esiti”. E ciò dovrebbe valere, a nostro  parere, anche le risorse rese disponibili con il PNRR.

La logica di  controllare lo scostamento dell’efficacia del servizio scolastico  proposto all’utenza in seguito all’introduzione delle innovazioni  finanziate dovrebbe diventare fondamentale per diffondere la cultura  degli esiti anche tra gli insegnanti.

Ciò perché in futuro non accada  più che laboratori, anche molto costosi, vengano sotto utilizzati se  non abbandonati all’obsolescenza.

In chiusura dell’articolo segnaliamo una interessante ipotesi di  sviluppo normativo proposta in un articolo dell’inglese The Guardian.

Se venisse considerata anche in Italia sarebbe fortemente connessa  alla questione ecologica (Fridays For Future), allo sviluppo  dell’autonomia degli studenti, alla formazione alla consapevolezza, al  critical thinking ed alla cittadinanza attiva.

Nell’articolo “Votes for children! Why we should lower the voting age  to six” David Runciman (6) propone di concedere anche ai bambini dai 6  anni in sui il diritto di voto.

Anche se la questione potrebbe sembrare posta a fini meramente  provocatori alcune riflessioni ci sembrano condivisibili: “[…] Le  nostre società stanno ora rapidamente invecchiando gli elettori più  anziani sono arrivati a superare in numero i giovani.

Questo vale in  tutta Europa, negli Stati Uniti e sempre più anche in Asia. La  tradizionale dinamica del conflitto intergenerazionale era che anche  se le generazioni più anziane avevano la ricchezza e il potere, i  giovani avevano i numeri.(7)”

Ora non è più così e per questo David Runciman argomenta la sua  proposta nell’articolo:

“[…] Gli argomenti contro il diritto di voto dei bambini iniziano  sempre con la questione fondamentale della competenza. Ma ciò  significa che stiamo applicando standard ai bambini che abbiamo  rinunciato ad applicare a chiunque altro.

È vero, naturalmente, che  molti bambini farebbero fatica a comprendere questioni politiche  complesse, soprattutto i bambini più piccoli.

È difficile immaginare  un gruppo di bambini di sei anni alle prese con la politica fiscale.  Ma molti adulti lottano anche con questioni politiche complesse e  tutti noi abbiamo grandi lacune nella nostra comprensione politica.  […] Il fatto è che non applichiamo un test di competenza prima di  concedere il diritto di voto a chiunque non sia minorenne. Allora  perché iniziare con loro?”

Come docenti della scuola secondaria di secondo grado in molti avranno  constatato come con l’approssimarsi della maggiore età ai ragazzi  cresca la voglia di comprendere il contesto in cui vivono, sorga la  richiesta di approfondire questioni sociali, economiche, politiche,  ambientali, ecc. e aumenti la loro motivazione ad acquisire competenze  di cittadinanza.

Considerazioni analoghe, per i bambini cui si vorrebbe concedere il  diritto di voto vengono indicate nell’articolo: “[…] Ma se prendiamo i  bambini nel loro insieme, ci sono buone probabilità che alcuni gruppi  siano meglio informati di molti adulti.

Hanno il tempo e le risorse  per sapere qual è la posta in gioco, se lo desiderano. Nessuno può  essere obbligato a interessarsi di politica, ma questo vale tanto per  gli adulti quanto per i bambini. La differenza è che i bambini a  scuola sono in una posizione migliore per colmare le lacune nelle loro  conoscenze.”

Chissà se la proposta pubblicata su The Guardian verrà mai considerata  in Italia?

di Fulvio Oscar Benussi, socio Aidr

NOTE

1)la paternità della constatazione che “il futuro non è più quello di  una volta” spetta al poeta e filosofo francese Paul Valéry, e risale  ad un saggio del 1937, intitolato Notre destin et les lettres (Il  nostro destino e le lettere), pubblicato nella raccolta Regards sur le  monde actuel et autres essais.
2) https://thefutureorganization.com/evolution-employee/
3) Un possibile esempio di attività didattica che contempli l’uso a  scuola di “tecnologie di collaborazione” è presente nell’articolo:  “Competenze utili per il lavoro: imparare il multitasking”, vedere:
http://www.forumpa.it/scuola-istruzione-e-ricerca/competenze-utili-per-il-lavoro-imparare-il-multitasking
4) Con l’espressione Personal branding si fa riferimento a quel  complesso di strategie messe in atto per promuovere se stessi, le  proprie competenze ed esperienze, la propria carriera alla stregua  appunto di un brand. Sfruttato in praticamente qualsiasi settore, ha  molto a che vedere con il marketing personale
5) Questi contenuti e soprattutto le modalità di utilizzo degli  strumenti digitali indicati dovrebbero essere proposti ai ragazzi nel  contesto dell’insegnamento dell’educazione civica, insegnamento  recentemente reintrodotto a scuola.
6)  https://www.theguardian.com/politics/2021/nov/16/reconstruction-after-covid-votes-for-children-age-six-david-runciman
7) Tutte le traduzioni dei brani tratti dall’articolo e qui riportati  sono state da noi effettuate. Non sono quindi in alcun modo  attribuibili a The Guardian. Per avere certezza relativamente al  contenuto del testo dell’articolo si rimanda al link citato nella nota  precedente.

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