MEDIA

Il personal branding e i social media

Partiamo da una semplice considerazione, la condivisione di una  informazione sul web, in alcune circostanze, è capace di generare lo  stesso effetto di un sasso lanciato nello stagno. In pratica è dotata  di una propria risonanza e riesce a propagarsi in maniera più o meno  ampia.

Questo significa che, in maniera cosciente o inconsapevole, tutti  coloro i quali accedono alla rete creando contenuti (passando anche  per le singole opinioni espresse in modalità talvolta estemporanea)  lasciano un segno. Il numero di queste “tracce” definisce nell’insieme  una immagine di noi stessi e la proietta verso gli altri utenti.

Si potrebbe quindi pensare che ognuno sia un piccolo editore  individuale di contenuti, spesso personali, che definisce il proprio  marchio e lo promuove anche.

Ecco quindi la necessità di parlare del personal branding.

Prima di affrontare ulteriori riflessioni sull’argomento è opportuno  riportare le parole dell’imprenditore Tom Peters, ovvero di colui il  quale, per primo, ha esplicitato questo concetto nel 1997: “Noi siamo  gli amministratori delegati delle nostre stesse aziende: la IO S.p.A.”.

Di conseguenza ciò che ognuno di noi prova a fare nell’ambito  lavorativo è la promozione del proprio marchio distintivo, della  propria immagine verso coloro i quali, si auspica, vi possa essere un  interesse.

Il concetto stesso di marchio, che tradizionalmente appare legato alle  realtà industriali, nel presente, diventa piuttosto un elemento  collegato all’individuo che dovrà decidere per quale motivo voler  essere conosciuto e quale immagine dare di se stesso.

Questo tipo di riflessione deriva, neanche a dirlo, dallo scambio di  informazioni personali che coscientemente oppure no circolano sulla  vita di ciascuno di noi nella rete.

I dati relativi al 2021 indicano che ciascun utente trascorre circa  sette ore al giorno sul web e due ore e mezza utilizzando i social  media (fonte Gobal Digital Report 2021).

Questo vuole dire che si passa molto tempo ad aggiornare i contenuti  dei propri profili social (dal carattere privato piuttosto che  pubblico) ma che, dall’altro lato, si passa anche molto tempo a  consultare i profili degli altri utenti.

Se all’inizio i social media erano un semplice strumento per  connettere persone che avevano gli stessi interessi, con il tempo  hanno intrapreso anche un percorso prettamente commerciale diventando  un mezzo per generare profitti, un nuovo canale di comunicazione per  raggiungere i clienti con una capacità di penetrazione maggiore  rispetto alle modalità sino a prima utilizzate (cartellonistica  stradale, pubblicità sui quotidiani oppure televisiva per fare qualche  esempio).

Nel 1997 è stato attivato quello che può essere considerato il primo  social network. Si chiamava Six degrees (basato sulla nota teoria  sociologica per la quale si ritiene che nel mondo sia possibile  conoscere qualsiasi persona passando per un numero di intermediari non  superiore a 5).

Questa realtà, come accade purtroppo per tutte le idee che anticipano  le tendenze future, è però cessata nel 2001 anche perché il web e i  dispositivi mobili non erano così diffusi tra la popolazione e i costi  per l’accesso erano ancora alti.

Se Six degrees consentiva di mettere in contatto gruppi per lo più  omogenei di persone, ad oggi è possibile saltare molti dei sopracitati  intermediari per arrivare a contattare anche soggetti con una storia  diversa dalla nostra.

Dal 1997 è cambiata innanzitutto la facilità di creare contenuti e si  è consolidata l’idea di una identità digitale che viene arricchita  coscientemente oppure a propria insaputa e che, però, è accessibile da  tutti coloro i quali digitino i nostri riferimenti sui motori di  ricerca.

Ognuno di noi può effettuare anzi una verifica sulla propria  situazione. Si provi ad utilizzare, a titolo di esempio, servizi quali  Social Mention, Google Alert oppure Naymz.

Il personal branding è dunque una materia trasversale che interessa  più settori: sociologico, psicologico, economico e ovviamente  tecnologico.

Prima di tutto dobbiamo essere coscienti e attenti alla nostra  presenza on line e dobbiamo capire che ogni documento che viene  condiviso dovrebbe avere un proprio scopo perché sarà difficilmente  cancellabile.

Si dovrebbe avere chiara quale idea vogliamo dare di noi stessi su uno  scenario così eterogeneo come è il web.

Oltre a questi che possono sembrare potenziali pericoli, la nostra  immagine può invece essere facilmente valorizzata sulla base dei  canali con i quali decidiamo di interagire. In altre parole, dobbiamo  considerare bene quale dei tanti social network vogliamo utilizzare  per pubblicare il nostro materiale.

Le persone cercano di valorizzare la propria immagine nel web 2.0 per  mettere in luce le proprie qualità che possono essere maggiormente  recepite dal pubblico ritenuto di interesse. Allo stesso tempo cercano  di differenziarsi dagli altri individui sul mercato.

La propria scelta potrà allora ricadere su forme più meno narrative. A  titolo di esempio, si potrà passare dai contenuti estremamente  sintetici di Twitter ai video di Youtube oppure da canali settoriali  come Linkedin/Monster a quelli più generalisti come Instagram.

Su  Facebook normalmente si comunica con gli amici in maniera informale  mediante foto o testo nella forma di articoli. Non è escluso  ovviamente che vi saranno nuove forme sempre più integrate per  veicolare i contenuti sul web(si consideri il caso di Tik Tok).

Si dovrà anche cercare di mantenere una certa frequenza nei propri  aggiornamenti (anche da questo punto di vista i social sono differenti  e sembrerebbe necessario un maggior numero di interventi su Twitter  per essere più efficaci rispetto agli altri canali).

In ogni caso si  dovrà essere disponibili a rispondere a qualsiasi domanda verrà  avanzata dagli altri utenti oppure a gestire ogni tipo di feedback  ricevuto dai lettori.

Per essere quindi maggiormente efficaci potrebbe essere utile  realizzare un’analisi strategica basata sulla comprensione dei propri  punti di forza, delle debolezze, delle opportunità e infine delle  minacce (cd. analisi SWOT impiegata per la realizzazione di progetti  più o meno complessi).

Potrebbe allora essere utile creare diversi profili per gli utilizzi  che si intende fare delle informazioni e dare una visibilità limitata  ai contenuti personali per favorire, al contrario, la diffusione di  quelli di natura più tecnica (e dunque appetibili da un pubblico più  ampio).

Il personal branding può essere in grado di soddisfare allora diverse  necessità. Alcune di carattere personale (avere in primis una  reputazione positiva) altre di carattere professionale (si pensi ai  giornalisti, a coloro i quali hanno un incarico istituzionale o  pubblico, alle celebrità dello spettacolo oppure dello sport).

Proprio coloro i quali hanno maggiore visibilità per lavoro hanno  cercato di valorizzare la propria immagine riuscendo anche a  promuoversi oltre l’iniziale campo di attività (sportivi che hanno  creato la propria linea di abbigliamento oppure attori/attrici che  promuovono cosmetici o prodotti per la salute).

In un modo oppure nell’altro il personal branding genera valore ed è  un elemento strategico poiché il mondo del lavoro è incerto, basato su  frequenti cambiamenti e focalizzato su progetti ben definiti.

In conclusione si intravedono diversi interrogativi: quali saranno gli  effetti della sempre maggiore diffusione dell’uso dei social media sui  singoli utenti?

Quale, o quali, saranno i social media attraverso i  quali poter valorizzare la promozione di sé stessi e delle proprie  attività?

Quale sarà il valore che verrà attribuito dalle imprese alle  predette tracce lasciate sul web da parte dei singoli utenti (nella  veste di candidati per le posizioni di lavoro che verranno proposte)?

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