CRONACA

Senise piange la scomparsa di Francesco Mario Blumetti

Senise piange la scomparsa del concittadino Francesco Mario Blumetti,uomo di stato ha lavorato in polizia nella squadra mobile di Milano ed in seguito a Berna in Svizzera.

Da marzo 2014 a settembre 2016 è stato presidente dell’Associazione Lucani in Svizzera per due legislature è stato componente dell’Esecutivo della Commissione regionale dei lucani nel mondo.

Ricordo di Luigi Scaglione

Ne ricordo un caffè preso insieme a lui al sole di una primavera che stentava ad arrivare, davanti alla Stazione di Zurigo mentre mi raccontava la sua storia di poliziotto con il suo Capo Achille Serra ai tempi di Banditi a Milano e poi delle sue relazioni personali in Svizzera dove di era sposato e cominciava a coltivare i Lucani in Svizzera.

Molto sensibile come persona ed anche pieno di sofferenze interiori.

Un ricordo caro e un abbraccio alla sua famiglia con la riconoscenza per quello che ha fatto”.

Tra i tanti ricordi degli amici riportiamo quello del prof.Filippo Gazzaneo:

“Affacciato alla ringhiera di casa nella curva del barraccone c’è Franco Blumetti, e da lì sopra – mentre osserva attentamente don Vincenzo Sole che fuma a trinciato forte – si diverte a contare le donne che passano sotto casa sua con la sporta in testa, e la reggono senza toccarla colle mani che tengono baldanzosamente sui fianchi, ed è questo il gesto più femminile che si consentono che poi a seconda della posizione delle braccia e dal tipo di movimento dei fianchi si riesce a distinguere se essa sia o maritata o zita o pollina, oppure cattiva, e reggono la sporta quanto più è pesante di verdure, di ortaggi, ma soprattutto di ciuffi paffuti di bambini che mossi dall’andamento ondulante e regolare della mamma, o forse della zia o della sorella più grande o della nonna, piegano mollemente il collo vinti dal sonno che rende il ciuffo dei capelli ancora più ribelle, e fanno trasformare il lamento abbozzato o il pianto soffocato in un respiro profondo ed in uno sbadiglio così lungo e aperto da masticare e ingoiare litri di aria un attimo prima di chiudere le palpebre per poi riaprirle subito dopo aver attraversato i correnti di Serrapotamo, si diverte, dicevo, Blumetti anche perché ha passato indenne l’esame della “rivista”, a cui lo sottopone la mamma Lucia Filomena Zottorelli, figlia di Maria Sole, e quest’ultima figlia di don Alessandro Sole; ogni santa mattina: orecchie pulite, naso pulito, denti lavati, unghie tagliate e nette, insomma deve essere sperlucente, certo non capita solo a lui la “rivista”, una specie di torchio igienico militare che le mamme predispongono per i propri figli che si apprestano a camminare con le proprie gambe i sentieri impervi della vita oltre scilla e cariddi di Largo San Biagio, magari per vedersela, sempre il Blumetti, un paio di lustri dopo, mica con Jack di Chiaromonte, perché lui, Jack appunto, che è il più forte “malvivente” del piccolo ma potente comune che svetta sul Sinni, (…) appena scende, dicevo di Jack, per il Fiego, che altro non è che il bosco che congiunge, attraversato dalla 104 SS Sapri Jonio, Chiaromonte con Senise, la leggenda vuole che ne prenda tante di botte, per cui la sua mitica malvivenza, viene derubricata, a inoffensiva spacconeria delimitata geograficamente al proprio comune di competenza, dicevo, mica con col povero Jack se la vedrà, Blumetti, entrato come poliziotto giovanissimo nella mitica PS di Milano, ma con gente del calibro – nomen omen – di Francis detto Turatello e con Epaminonda detto il Tebano, in attesa di andare, Blumetti, colla mamma alla Fontana Vecchia, dove attendendo che Maria Sole, lavi lenzuola e coperte, lui costruisce barchette di carta che fa viaggiare nei rivoli di acqua che scorrono copiosamente da via Capitano Sole indirizzandosi verso la curva di Panzardi.
E quando ritorna al Barraccone, il Blumetti, finalmente prova a giocare a mazza e pizzolo, che mica è un gioco facile che devi far alzare un pezzo di legno corto e appuntito, il pizzolo, appunto, colla mazza e mentre è ancora roteante in aria provare a colpirlo per farlo librare il più possibile lontano, oppure a metti sella, ma lui che è mingherlino non può fare il primo che deve essere robusto nei fianchi, semmai l’ultimo perchè è leggero e scattante come una libellula, oppure a sceriffi e indiani, a Ercole e Maciste, o ad imprecare di ceci sotto le ginocchia e di bacchettate, o ad evocare le quadrighe di Ben Hur, o, seduto lì insieme a Loluccio e a Mario Terracina sul pisolo al lato del negozio di Mario Sole che vende televisori Radio Marelli o radio Ultravox, a sussurrare, lui che al cinema Santa Lucia ci va spesso, del corpo di Catherine Spaak coperto solamente da banconote nel film “La noia” di Damiano Damiani, e portarsela questa immagine appetitosa nella fame di mondo, nella ricerca di vita, negli spazi pieni di desiderio e di attesa, negli attimi di passioni ribelli mischiati alla pazienza e alle pause assetate di futuro, nella contemplazione di luce di esistenza talvolta soffusa, tal altra accecante, che accompagnerà lui ed un’intera generazione che vedrà i successivi anni imbiancati di calcinacci sparati lamiere arroventate vetri frantumati vagoni appoltigliati asfalti liquefatti rotaie divelte dal tritolo, e appesantiti dal piombo grigio di kalashnikov e P38, e insanguinati di brandelli di pelle schizzi di carne schegge di ossa sparsi nelle piazze e nelle menti d’Italia”.
 Tratto da “Fatti di terra” di Filippo Gazzaneo

 

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