Successo pieno per Lady Macbeth di Šostakovič alla Scala

Riccardo Chailly ha centrato il suo obiettivo: portare per la prima volta nella storia dell’inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala un titolo di Dmitrij Šostakovič.
La sua direzione de “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” è stata accolta da una vera ovazione, con oltre undici minuti di applausi ininterrotti.
Un successo personale enorme, proprio nell’anno del suo ultimo 7 dicembre come direttore musicale del teatro. Un “abbraccio del pubblico”, come ha commentato il sovrintendente Fortunato Ortombina.
Consensi calorosi sono andati anche al regista Vasili Barkhatov e soprattutto alla protagonista Sara Jakubiak, che ha definito la sua Katerina «una tigre».
Tutto il cast ha ottenuto riconoscimenti, da Najmiddin Mavlyanov (Sergej) ad Alexander Roslavets (Boris), fino al coro scaligero guidato da Alberto Malazzi.
Le scene di violenza e contenuto esplicito – previste dal libretto – sono state accolte senza contestazioni, ritenute coerenti con l’opera e mai oltre il limite del cattivo gusto.
Anche fuori dal teatro la serata ha mantenuto la tradizione del 7 dicembre, con manifestazioni in piazza e la partecipazione di vari gruppi, pur senza la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Nel palco centrale sedevano Liliana Segre, il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso e il sindaco di Milano Giuseppe Sala.
Presenti anche la sottosegretaria Usa Sara Rogers, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, i vicepresidenti di Senato e Camera Gian Marco Centinaio e Anna Ascani, oltre a esponenti del governo e del mondo economico. Numerosi anche i nomi dello spettacolo: Mahmood, Achille Lauro, Pierfrancesco Favino.
La vera protagonista resta però la musica di Šostakovič, poco conosciuta dal grande pubblico per via della censura stalinista che dal 1936 ne impedì la diffusione, tanto che l’opera originale arrivò alla Scala solo nel 1992.
Sotto la guida di Chailly, la partitura ha travolto la platea: un alternarsi di passaggi lirici, sospiri emozionali, tensioni drammatiche, slanci impetuosi e ritmi vorticosi che portano lo spettatore nei tormenti di Katerina, tra desideri repressi, frustrazioni, solitudine, passioni violente e delitti.
A differenza della Lady Macbeth shakespeariana e verdiana, che assassina per sete di potere, la protagonista di Šostakovič compie i suoi omicidi spinta dalla fame di libertà, d’amore e di desiderio.
L’intera vicenda diventa anche una critica feroce alla società piccolo-borghese russa di inizio Novecento e alla condizione femminile, tema che Barkhatov racconta anche con tratti grotteschi e ironici.
Il regista trasferisce la storia da un villaggio del 1860 a un elegante ristorante della capitale negli anni Cinquanta, costruendo la narrazione come un grande flashback, quasi fosse una serie di deposizioni davanti alla polizia.
La scenografia di Zinovy Margolin mostra un ristorante attraversato da un enorme blocco scenico che rappresenta lo studio del patriarca Boris – luogo di soprusi e punizioni – e le cucine sovrastanti, dove si consuma una delle scene più dure: il bullismo dei cuochi su una giovane servetta.
La trama procede senza edulcorazioni: Katerina costretta dal suocero a giurare fedeltà al marito, l’aggressione iniziale di Sergej che si trasforma subito in attrazione, le torture inflitte dal suocero all’amante, l’avvelenamento con la zuppa ai funghi, l’omicidio del marito Zinovij al suo ritorno, il tentativo di fuga e infine l’arresto.
La modifica scenica più rilevante riguarda il finale: nel libretto, dopo la deportazione verso la Siberia, Katerina si uccide gettandosi nel fiume trascinando con sé la rivale. Nella messinscena scaligera, invece, un camion militare irrompe nel ristorante e la tragedia culmina in un doppio suicidio tra fiamme reali, appiccate dalla protagonista.
La musica si interrompe di colpo, il sipario cala e scatta il lungo applauso del pubblico.
Liliana Segre: “Gli applausi? Sono io che voglio bene alla Scala”
Accolta come sempre da una standing ovation al suo ingresso nel palco centrale, la senatrice a vita Liliana Segre ha commentato con semplicità:
«Sono io che voglio bene alla Scala».
Riguardo alla scelta dell’opera, l’ha definita “piuttosto scandalosa”, ma ha aggiunto con ironia:
«Prima di tutto sapevo bene cosa sarei venuta a vedere. E poi sono così anziana e vengo qui da quando avevo cinque anni…
Sono abituata a tutto: dai balletti alle opere per bambini. Questa sarà anche scandalosa, ma mi interessa sempre ciò che la Scala propone.
Poi giudico secondo il mio gusto, certo, ma alla base c’è sempre l’interesse.»
ANSA
