COMUNICATI STAMPA

Sanità lucana: dieci anni di delibere annullate, burocrazia senza responsabilità

e la favola del “settore litigioso” con danni e spese per milioni di euro

Da oltre un decennio la Regione Basilicata si muove in un labirinto normativo e amministrativo che sembra non avere uscita.

Dal 2015 ad oggi più di quindici delibere sanitarie – forse diciotto, secondo alcuni conteggi aggiornati – sono state annullate dai tribunali amministrativi, sempre per le stesse ragioni: vizi di istruttoria, errori di metodo, violazioni di legge, difetti di motivazione. Le conseguenze di spesa a carico della Regione per errata allocazione delle risorse valgono milioni di euro a cui aggiungere spese legali per altre decine di migliaia.

Eppure, invece di interrogarsi su chi scriva questi atti e perché vengano approvati in quelle condizioni, la narrazione ufficiale continua a colpevolizzare le strutture private accreditate, dipingendo un intero comparto come “litigioso”.

Ma i numeri raccontano altro: su oltre cinquanta strutture accreditate, i ricorsi sono stati presentati da non più di cinque o sei. E nella quasi totalità dei casi, i giudici hanno dato loro ragione.

A questo punto la domanda è inevitabile: chi ha scritto quelle delibere tutte sbagliate? Possibile che nessuno negli uffici regionali si assuma la responsabilità di atti costantemente censurati? O che, peggio ancora, qualcuno tragga vantaggio da un sistema che vive del proprio fallimento?

Non si tratta più di semplici “sviste”. La ripetitività e la prevedibilità degli errori mostrano l’esistenza di un modello gestionale costruito sull’errore utile. L’errore come metodo.

Si emanano atti sbagliati sapendo che, se verranno annullati, i contratti saranno già scaduti e i bilanci chiusi: il tempo, nel frattempo, avrà fatto il suo lavoro.

Così si procede con nuove delibere “postume”, adottate a esercizi già conclusi, per rideterminare tetti di spesa ormai inapplicabili. E quando il periodo non è ancora trascorso, si ricorre al ritardo deliberato.

Non è un caso che le delibere più delicate — DGR 482/2022 e DGR 473/2025 — siano state approvate ad agosto, a ridosso della chiusura dell’anno. Eppure, gli annullamenti delle delibere precedenti risalivano all’anno prima: la Regione avrebbe avuto tutto il tempo per approvarle già a gennaio. Ma in Basilicata il ritardo non è una disfunzione: è un metodo.

L’arte è raffinata: si fanno atti volutamente tardivi, contando sul fatto che la giurisprudenza ha già giustificato i ritardi “in caso di affanno della pubblica amministrazione”. Dietro ogni rinvio si nasconde la formula magica della “tutela della finanza pubblica”, usata come scudo per evitare la programmazione sanitaria.

E così si legittima l’illegittimità, si normalizza l’eccezione, si crea un sistema fuori controllo che può andare avanti all’infinito. Ogni anno si riparte da zero – e da zero responsabilità.

Peccato che le norme di finanza pubblica servano solo a fissare i limiti complessivi di spesa, non a stabilire la ripartizione delle risorse. Eppure, dietro questo equivoco, la Regione continua a negare l’attuazione dei LEA, preferendo garantire i fatturati storici di chi produceva di più — anche dieci anni fa. Tanto, lo ha detto il TAR, che quello è “l’unico anno utile” da prendere a riferimento.

La Basilicata continua a fissare i budget sanitari tornando indietro nel tempo, fino al 2014, “anno di riferimento libero da annullamenti” — anche se nel 2014 non esisteva alcuna delibera di determinazione dei tetti. Il 2014 è l’anno che non passa mai. Quelle cifre, derivate addirittura dal 2012, vengono riesumate e riciclate con nomi diversi a seconda delle stagioni politiche.

Nella DGR 473/2025, ad esempio, il 2014 non si chiama più 2014, ma “consuntivo 2022”: un maquillage utile a dare parvenza di attualità a dati vecchi di oltre un decennio.

Si cambia l’etichetta, ma non la sostanza: il tetto 2022 continua a poggiare sul 2014, l’anno più comodo per chi deve perpetuare il meccanismo della spesa storica.

Così, invece di fondare le decisioni sui fabbisogni sanitari reali, la Regione mantiene un sistema cristallizzato, che premia il passato e punisce il presente. Un equilibrio perverso in cui la discrezionalità amministrativa diventa arbitrio, e la legalità un concetto piegato anche per resistere davanti al TAR.

Da anni ci raccontano che la sanità privata accreditata è “divisa”, “litigiosa”, “corporativa”. È la narrazione perfetta per spostare l’attenzione dal vero problema: un apparato amministrativo incapace di applicare la legge e una politica debole che si lascia trascinare.

Se diciotto delibere sono state annullate, il problema non sono i ricorsi: il problema è un sistema costruito per funzionare così. Non esiste alcuna guerra tra Regione e privato, né un comparto “litigioso per natura”. Esiste piuttosto una categoria esasperata da anni di complicazioni burocratiche e inerzia politica, costretta a subire decisioni prese contro i fabbisogni sanitari, attraverso delibere e sentenze.

Dietro quella retorica si nasconde una strategia precisa: delegittimare chi chiede buon senso e legalità, per difendere lo status quo. Gli uffici continuano a sbagliare, ma dirigenti e funzionari restano sempre gli stessi. I dirigenti non cambiano comportamento. E la politica, nel frattempo, si limita a firmare ciò che altri scrivono, diventando complice passiva di una burocrazia che ha assunto il controllo totale del sistema.

Dietro ogni delibera annullata ci sono firme, relazioni, pareri, uffici precisi. Eppure, nessuno paga mai. Non esistono nomi, responsabilità o conseguenze. Si parla di “errori materiali”, di “criticità istruttorie”, di “malintesi interpretativi”. Ma quando le stesse criticità si ripetono per dieci anni, non si tratta più di errori: è un metodo.

Non un metodo efficiente, ma funzionale: serve a mantenere le risorse ferme, a impedire controlli politici, a garantire a pochi tecnocrati un potere opaco e irresponsabile, autenticamente tiranno.

Il racconto del “settore litigioso” serve solo a mascherare il fallimento della Regione e dei suoi uffici. Non nasce da egoismi delle strutture – almeno non di quelle che non hanno mai abusato dei ricorsi – ma da incompetenza amministrativa e complicità politica.

Finché questo meccanismo non verrà spezzato, la sanità lucana continuerà a girare a vuoto: delibere annullate, pazienti disorientati, uffici che producono errori con la stessa naturalezza con cui si timbra un protocollo, salvo poi confezionare versioni addomesticate della realtà.

La sanità lucana non ha bisogno di nuovi slogan o nuovi assessori: ha bisogno di verità, regole e responsabilità.

E una volta per tutte, di mettere fine alla tirannia della burocrazia regionale, che da dieci anni governa la sanità lucana più della politica e più del buonsenso.

 

Presidente U.S.C. – Michele Cataldi

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