CRONACA

Visto il meccanismo che innesca la malattia di Parkinson

“Per la prima volta, è stato possibile osservare direttamente nel cervello umano il meccanismo che si ritiene avvii la malattia di Parkinson, rappresentando così un importante progresso nella comprensione di una condizione che affligge circa 10 milioni di persone in tutto il mondo, con una proiezione di 25 milioni entro il 2050.”

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Biomedical Engineering, è frutto di una collaborazione tra l’Università di Cambridge, l’University College di Londra e il Politecnico di Montréal.

I ricercatori hanno scoperto dei microscopici raggruppamenti di proteine, chiamati “oligomeri di alfa-sinucleina”, che finora erano impossibili da osservare a causa delle loro dimensioni incredibilmente ridotte, nell’ordine di pochi nanometri. Questa scoperta potrebbe essere cruciale per comprendere i meccanismi alla base dell’evoluzione della malattia, aprendo la strada a nuovi approcci per la diagnosi precoce e per lo sviluppo di future terapie.

Per più di un secolo, la malattia di Parkinson è stata identificata grazie alla presenza di aggregati proteici di dimensioni maggiori, noti come “corpi di Lewy”. Tuttavia, si sospettava che i veri responsabili fossero in realtà raggruppamenti molto più piccoli.

“I corpi di Lewy sono un indicatore tipico del Parkinson, ma ci mostrano dove la malattia è arrivata, non dove si trova ora”, osserva Steven Lee dell’Università di Cambridge, che ha coordinato il progetto insieme a Lucien Weiss del Politecnico di Montréal e Sonia Gandhi dell’UCL.

“Se riuscissimo a osservare il Parkinson nelle sue fasi iniziali, potremmo acquisire una comprensione molto più approfondita su come la malattia si sviluppa nel cervello e, di conseguenza, su come potremmo trattarla”, aggiunge Lee.

Per identificare questi minuscoli “inneschi”, gli autori dello studio hanno sviluppato una nuova tecnica basata su un microscopio a fluorescenza ad altissima sensibilità, capace di ridurre al minimo il rumore di fondo e isolare il segnale debolissimo degli oligomeri.

“È la prima volta che possiamo osservare direttamente gli oligomeri nel tessuto cerebrale umano con questa risoluzione”, afferma Rebecca Andrews dell’Università di Zurigo, prima autrice dello studio, insieme a Bin Fu e Christina Toomey. “È come riuscire a vedere le stelle in pieno giorno, e questo apre nuove opportunità per la ricerca sul Parkinson”.

Esaminando campioni di tessuti cerebrali ottenuti post-mortem, i ricercatori hanno constatato che gli oligomeri di alfa-sinucleina sono presenti sia nei cervelli sani che in quelli affetti da Parkinson. Tuttavia, nei cervelli malati, questi oligomeri risultano essere più grandi, più luminosi e più numerosi, suggerendo una connessione diretta con l’avanzamento della malattia.

Inoltre, è stato individuato un particolare tipo di queste proteine che appare solo nelle persone affette dalla malattia. Questi specifici oligomeri potrebbero rappresentare i primi segnali della patologia, visibili forse anni prima che si manifestino i sintomi.

“Gli oligomeri sono stati l’ago nel pagliaio”, commenta Weiss, “ma ora che sappiamo dove si trovano, potrebbero aiutarci a identificare cellule specifiche in determinate aree del cervello”.

Tecnologie simili potrebbero essere applicate anche ad altre patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer e la corea di Huntington, conclude il ricercatore.

 

ANSA

 

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